giovedì 30 agosto 2012

Riga

A cavallo tra il XII e il XIII secolo il vescovo tedesco Albrecht von Buxthoeven si mosse da Brema per evangelizzare e germanizzare la regione della Livonia, all'epoca abitata da popolazioni pagane di origine baltica.
Il vescovo si trovò a fronteggiare una diatriba dinastica tra le popolazioni Livoniche: il 55° re era morto senza eredi diretti, e due fazioni si contendevano il predominio sul territorio dell'Ansa Baltica. Il vescovo Albrecht propose una spartizione territoriale: essendo in ballo la 56° posizione dinastica, suggerì di tracciare un confine in corrispondenza di una latitudine simbolica: 56°56'56" N, e di usarlo per la spartizione territoriale.
Il 18 agosto 1201 ebbe quindi luogo una solenne cerimonia, durante la quale venne scavato un fossato proprio in corrispondenza del suddetto parallelo, chiamato Vallo di Albrecht.
Intorno alla riga del Vallo nacquero inizialmente poche casupole, destinate a ospitare le guardie di confine, ma pian piano intorno a esse sorse una vera e propria città, che prese quasi naturalmente il nome di Riga.
Grazie all'ingresso nella lega anseatica la città di Riga divenne un fiorente porto commerciale ed estese il suo dominio su tutta la regione della Lettonia. Forte fu la sua influenza sulla moda e sul costume nel Rinascimento: qui nacque per esempio la moda, esistente ancora oggi, di pettinarsi con la riga.
Nel XIX secolo Riga divenne famosa per i suoi istituti correttivi minorili: qui venivano mandati i giovani scapestrati di buona famiglia. Ancora oggi si utilizza l'espressione "mettere in Riga" per indicare lo sforzo di ricondurre alla buona creanza la gioventù sconsiderata.

Anche durante l'occupazione sovietica Riga ha mantenuto il suo nome e la sua personalità; è infatti così che la città si chiama ancora oggi.

(nella foto: il Museo della Riga, fondato sopra al Vallo di Albrecht, che però ha la facciata a quadretti)

lunedì 27 agosto 2012

Carrara

La storia di oggi è molto semplice, e la raccontiamo ad esempio di tutte quelle città o paesi che prendono il nome da un qualche tipo di risorsa (frutto, minerale, animale) che abbonda particolarmente nella zona. Ne sono esempio le varie località chiamate Noceto, Castagneto, Lupazzano, o Crema.
Una città più famosa che ha seguito lo stesso principio toponomastico è una famosa cittadina della toscana, che ha preso il nome dalle numerose cave di marmo presenti nella zona. Essendo questa qualità di marmo conosciuta come "marmo di Carrara", è sembrato inevitabile dare questo nome al centro urbano nelle vicinanze, ossia Carrara. E con questo nome la città è conosciuta ancora oggi.

(nella foto: la gelateria "White Ice" di Carrara, durante la realizzazione del ghiacciolo più grande del mondo)

giovedì 23 agosto 2012

Catania

Nel medioevo, quando le lame non servivano solo per tagliare ortaggi, ma anche teste, e in definitiva per combattere le guerre, i buoni fabbricanti di spade erano degli artigiani assai ricercati e remunerati. Spesso attorno ai fabbri più rinomati si raccoglievano gruppi di apprendisti o vere e proprie scuole. Una di queste scuole era quella di Toledo, che aveva rifornito del suo acciaio lavorato legionari e soldati di ventura fin dall'antichità.
Un'altra - forse meno conosciuta - nacque sulle coste orientali della Sicilia durante il XIII secolo, quando si scoprirono le particolari caratteristiche (una duttilità e una malleabilità fuori dal comune) del minerale di ferro locale, entrato in contatto nel corso delle ere geologiche con la lava del vicino Etna. Questo ferro permetteva la fabbricazione di lame estremamente affilate e resistenti, ma purtroppo il processo per la sua estrazione era quantomai difficoltoso e costoso. Per questo le spade e le daghe fabbricate in Sicilia furono generalmente ignorate nel corso del medioevo (con alcune famose eccezioni, come la spada corta con cui duellava Giovanni l'Acuto) dagli eserciti europei, che continuarono a preferire la qualità a buon mercato dell'acciaio spagnolo.
Una nuova fortuna fu però conosciuta da generazioni successive di questi artigiani, all'inizio del XVII secolo. Alcune di queste spade furono portate da un mercante portoghese (che in molti identificano con Nuno Soledade, conosciuto in seguito per la scoperta dell'Isola d'Elba) in uno dei suoi viaggi verso il Giappone, come merce di scambio con le sete e le spezie prodotte laggiù. Queste spade attirarono da subito l'attenzione del maestro d'arme dell'Imperatore Go-Yozei, che decise di utilizzarle per i samurai della guardia d'onore. Da lì l'utilizzo di queste spade - commissionate a richiamare la foggia della katana giapponese - si diffuse anche tra il resto dell'esercito.
Il piccolo centro siderurgico siciliano conobbe in quegli anni una fama mai incontrata prima, anche se solamente dall'altra parte del globo, dove questa città veniva chiamata appunto "Katania", cioè "Città delle katane". Quando gli artigiani vennero a conoscenza di questo nomignolo ne furono così grati che decisero di rinominare proprio così il loro paese: "Catania".
Ed è così che questa città viene conosciuta e chiamata ancora oggi.

(nella foto: lo scorcio di Catania con alle spalle l'Etna, utilizzato da Katsushika Hokusai come modello per la progettazione del Monte Fuji)

lunedì 20 agosto 2012

Venezia


L'origine dell'attuale nome della Serenissima si confonde con la storia del suo più illustre cittadino di tutti i tempi: Marco Polo. Questo indomito esploratore del XIII secolo raggiunse, oltre al Polo Nord da cui prende il nome, anche l'estremo oriente. Nei suoi viaggi attraversò tra l'altro la cosiddetta mezzaluna fertile, quella striscia di terra compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate.
Fu proprio attraverso i commerci e lo scambio culturale in queste zone che venne in luce la differenza più profonda tra le genti d'Europa e quelle del Medio Oriente: non tanto le differenze linguistiche, religiose o sociali, quanto piuttosto un apparentemente marginale dettaglio architettonico. Dettaglio che fu però importante, come vedremo, all'interno di eventi drammatici.
Mentre infatti le genti della Serenissima erano solite impreziosire le loro finestre con tende veneziane, quelle d'oriente preferivano le più solide persiane. Questa differenza, ben evidenziata da Rustichello da Pisa nella sua redazione del "Milione", fu quasi ignorata per diversi secoli, essendo ritenuta forse un'invenzione leggendaria, pari a molte altre presenti nella (presunta) biografia di Marco Polo.
Fu con la battaglia di Lepanto del 1571, però, che questa profonda divergenza culturale riemerse con prepotenza: la coalizione federata sotto le insegne pontificie, alla quale apparteneva pure la Serenissima, iniziò a chiamare i nemici, con intendi dispregiativi e propagandistici, "persiani", a causa degli ornamenti delle loro finestre.
Analogamente, la fazione ottomana prese a definire gli abitanti della città sulla laguna come "veneziani", per il motivo opposto.
Questi nomignoli dispregiativi, tuttavia, furono accolti inaspettatamente con favore dai destinatari, che negli anni finirono per adottarli come propri e a chiamare se stessi in questo modo.
Per tale motivo quella regione del Medio Oriente prese il nome di Persia (anche se per poco, perché successivamente la regione si divise in Iran e Iraq... ma di questa storia vi racconteremo un'altra volta). La città lagunare invece divenne Venezia, e con questo nome è conosciuta ancora oggi.

(nella foto: un canale di Venezia... con persiane alle finestre. Evidentemente oggi le antiche divergenze storiche sono cadute, forse in nome della globalizzazione)

giovedì 16 agosto 2012

Vigevano

Quanto la Lombardia ed il Veneto non c'erano, ma c'era solo il Lombardo Veneto, ed era sotto la dominazione austriaca, la popolazione era schiacciata dalle tasse e balzelli imposti su ogni tipo di mercanzia: dal tabacco al salgemma, dalla carta alle mele cotogne. Questa situazione insostenibile per la borghesia lombarda fu certamente una delle cause alla base delle guerre d'indipendenza e, in ultima istanza, dell'unificazione italiana.
Questi eventi furono però preannunciati da alcuni moti isolati in centri urbani, e uno di questi dà il nome alla cittadina di oggi, ossia Vigevano. Nella piazza del paese, accanto alla porta di ingresso della gendarmeria, erano appesi i manifesti (le 'grida' di manzoniana memoria) che indicavano ogni mese le nuove tasse e i nuovi divieti. In grossi caratteri neri era stampata la scritta "Vige il divieto di entrare tra le mura cittadine con più di tot grammi di tabacco"; "Vige una tassa doganale di 25 centesimi su ogni chilogrammo di frutti di bosco"; e così via. Questi manifesti, che ormai si affollavano sovrapponendosi, rendendone difficile la lettura e l'applic.azione anche da parte dei cittadini più obbedienti, erano diventati per molti il segno della tracotanza austroungarica.
Così, quando una rivolta scoppiò in città, costringendo il maresciallo e la piccola guarnigione a fuggire nella vicina Milano, la prima cosa a sparire fu questa catasta di manifesti, sostituita con un unico grosso foglio su cui campeggiava la scritta "Vigevano" e sotto, in un ordinato elenco puntato, la lista dei divieti ora abolita. Il manifesto rimase appeso, per il suo significato simbolico, per diversi anni, e quando il prefetto si trovò a dare un nome alla cittadina (fino ad allora un centro di contadini ed operai anonimo), non trovò di meglio che chiamarla appunto con l'incipit del cartello, ossia "Vigevano". Ed è così che la città è conosciuta ancora oggi.

(nella foto: la ZTL del centro storico di Vigevano. La foto è datata: le ordinanze che assegnavano i permessi ai residenti sono state revocate a gennaio 2012)

lunedì 13 agosto 2012

Bristol

Il Castello di Vajdahunyad, o Vajdahunyad vár, è un castello situato nel Városliget, il parco cittadino di Budapest. Fu costruito in cartone nel 1896 in occasione della mostra millenaria, ma la sua architettura, ispirata a un omonimo castello transilvano, piacque talmente tanto che a furor di popolo il castello fu smantellato e ricostruito in muratura.
In pochi sanno però che questo castello imita la genesi di un'intera città: durante la mostra millenaria immediatamente precedente, infatti, intorno all'anno 1000, fu costruito nei pressi di Cardiff, in Inghilterra, il modello in cartoncino di un'intera città.
Al termine dell'esposizione la città di cartone doveva essere smantellata, ma questa operazione non poté avvenire, perché la città era stata occupata abusivamente da un gruppo di sfollati senza fissa dimora a seguito dell'invasione normanna. La città prese dunque il nome del tipo di cartoncino con cui era stata inizialmente costruita, Bristol, e questo è il nome che conserva ancora oggi.

(nella foto: la cattedrale di Bristol, unico edificio ancora oggi costruito in cartoncino)

venerdì 10 agosto 2012

Finlandia

L'origine del nome Finlandia arriva diritto - come capita con molte nazioni e città del nord europa - dall'epoca delle invasioni vichinghe. Anche se agli occhi dei cristiani i vichinghi potevano attaccare ovunque e in qualsiasi momento, nella realtà un rigido sistema patriarcale stabiliva, per ogni clan, i porti e i monasteri da saccheggiare.
Naturalmente c'erano territori più o meno ambiti. Un esempio tra i primi è la Groenlandia, la terra verde. Tra i secondi l'Islanda, Iceland, terra del ghiaccio. Bene: si narra che quando Olaf di Smudsen assegnò ai figli le coste da colpire e saccheggiare con i loro agili drakkar, provò ad assegnare quel promontorio inospitale tra le odierne Russia e Svezia al primogenito. "Fin là?" fu la risposta. Così il figlio maggiore ottenne di occuparsi dell'Irlanda. Provando con il secondogenito, la risposta fu il medesimo e laconico "Fin là?". E il figlio diresse le navi verso la Bretagna. Neanche a dirlo, lo stesso "Fin là?" fu il commento del terzo ed ultimo figlio, che alzò le vele verso la Danimarca.
Fu così che Olaf, tra lo scherno generale, continuando a borbottare tra sé e sé "Fin là, fin là", dovette occuparsi personalmente di quella terra, che proprio per i commenti dei figli fu ribattezzata ironicamente dai cronisti del nord "Finlandia".
Ed è così che questa terra viene chiamata ancora oggi.

(nella foto: spiagge della Danimarca. La Finlandia era troppo lontana)

giovedì 9 agosto 2012

Bari

Bari prende il suo nome dalla fumosa e a tratti ignominosa vicenda con cui furono ottenute e portate in città le spoglie del patrono San Nicola.
Brevemente: fino a metà dell'XI secolo le reliquie del santo erano custodite nella cittadina turca di Myra. Pochi giorni prima che questa cadesse in mano musulmana, scoppio un'accesa disputa tra i mercanti presenti nella città, appunto veneziani e baresi (si ignora in realtà come si chiamasse in precedenza il porto pugliese), per chi dovesse portare in salvo i resti del predicatore.
Poiché non sussistevano argomenti teologici inattacabili, in favore degli uni o degli altri, si decise di stabilire la sorte dei resti con una partita a dadi. L'illustre precedente rappresentato dalle vesti del Cristo sembrò giustificare questa decisione agli occhi dei commercianti. La partita fu vinta dai mercanti baresi, che con grande fretta e senza aspettare la notte imbarcarono le spoglie sulle proprie galere e tornarono nella città natale.
L'alba successiva un attento orafo veneziano scopri l'inganno: i dadi con cui si era giocato erano truccati. La vendetta dei veneziani fu sottile ed indelebile: detenendo all'epoca una sorta di monopolio sui portolani e sulle carte nautiche, procedettero a mettere in guardia tutti i navigatori, indicando la città su tutte le mappe come "Bari".
Ed è così che la città viene chiamata ancora oggi.

(nella foto: una folla si raduna di fronte alla chiesa di San Nicola per la festa delle Carte Segnate)