martedì 18 dicembre 2012

Brindisi

Dell'antica Brundisium, nata su un insediamento risalente all'età del bronzo, si inizia a parlare nei libri di storia con la conquista da parte dei romani nel 266 a.C.
L'importanza politica della città risale però a mezzo secolo dopo, e con precisione alla Seconda Guerra Punica: la città dell'Apulia rimase infatti fedele a Roma anche dopo la rovinosa disfatta della battaglia di Canne (216 a.C.).
Grandi furono perciò in tale occasione i festeggiamenti per celebrare la rinnovata alleanza con il Palatino. Svetonio racconta che nell'arco di due settimane di bagordi sfrenati furono macellati quindicimila tra polli, manzi e maiali, e per accompagnare questi sontuosi pasti fu rapidamente consumata tutta la riserva esistente di Primitivo di Manduria (per questo motivo peraltro nel museo archeologico di Brindisi non esistono reperti precedenti il secondo secolo a.C.; il paradosso è che le bottiglie di Primitivo ivi conservate non sono purtroppo realmente primitive come ci si aspetterebbe).
Al di là del danno archeologico, tuttavia, questo evento contribuì a diffondere la nomea di gozzovigliatori per i salentini, al punto che ci sono arrivate tracce degli sfottò non solo negli affreschi pompeiani, ma anche nella trascrizione dei cori da stadivm, che all'epoca si usava intonare durante le partite di calcivm.
Nel secondo secolo già esisteva infatti una lega sportiva a livello nazionale, costituita da squadre il cui nome si è tramandato nella storia (come per esempio Juventus, Pro Patria e Juve Stabia); fu durante una partita tra Brundisium e Atalanta che fu esposto lo striscione "Brindisino lalà lalà lalà" mentre tutti i tifosi avversari sollevavano festosi un calice. Gli abitanti di Brundisium furono perciò ribattezzati come sfottò "brindisini", da cui il nome attuale della città.

Tracce di questa antica nomea si trovano ancora oggi, visto che (come testimoniato dal video qui a fianco) il coro da stadio di cui sopra viene ancora intonato in molte zone dello stivale (sebbene si supponga che la musica non sia più corrispondente a quella originale che, ahimè, è andata perduta) durante le feste di compleanno. Feste durante le quali si cita anche (forse inconsapevolmente) l'antico motto latino di Brundisium, "Tanti augurii a te", che potremmo liberamente tradurre in italiano come "Da te giungano così grandi buoni auspici".
Buoni auspici che per Brindisi si sono verificati, in quanto la città, arrivata fino ai giorni nostri, ancora oggi con questo nome è conosciuta.

(nella foto: un'antica locandina che pubblicizza una partita di calcivm allo stadivm di Brvndisivm)

martedì 11 dicembre 2012

Trento



Gli americani chiamano Chicago (il cui curioso nome sarà sicuramente oggetto di una delle prossime puntate) "the windy city", la città ventosa. Ma anche in Italia abbiamo una città che non è da meno, e questa città è Trento.
Posta in una naturale conca ai piedi delle alpi, il castrum da cui si sviluppo la città di Trento fu edificato dai romani in una posizione tanto strategica quanto infelice, per i fortissimi venti che si abbattevano dalle montagne e che rendevano precarie le prime costruzioni in legno dell'accampamento.
Fu questo fenomeno atmosferico che diede il nome alla città, non dissimilmente da quanto era accaduto per la cittadina di Benevento (Bene Ventus: in questo caso il vento era ovviamente più gradito dalle navi che salpavano dal porto verso la Dalmazia e la Fenicia).
Il primissimo nome della colonia romana fu appunto Ventus. Ma ci si accorse presto che il nome non rendeva onore alla forza impetuosa che rendeva così difficile la vita dei legionari accampati. Scherzando, il proconsole disse che questi non erano venti, ma almeno trenta.
Fu così che il nome passò da Ventus a Trentus, da cui l'attuale nome di Trento, con cui la città è ancora conosciuta.

(nella foto: trentatré trentini entrano a Trento trotterellando)

martedì 4 dicembre 2012

Iran e Iraq

Con il Decreto Legislativo n.446 del 15 dicembre 1997 è stata istituita l'Imposta Regionale sulle Attività Produttive, più nota con il suo acronimo IRAP; con la Finanziaria 2008 questa tassa ha assunto la natura di imposta regionale.
L'IRAP colpisce il valore della produzione netto delle imprese, cioè il reddito prodotto al lordo dei costi per il personale e di oneri e proventi di natura finanziaria. E' cioè proporzionale al fatturato di un'azienda e non all'utile di esercizio della stessa; per questa ragione è stata oggetto di numerose polemiche, in quanto appare come un'imposta vessatoria nei confronti delle imprese dotate di alti volumi di personale e sfavorisce quindi quelle imprese che intendano assumere.

Molte regioni perciò hanno cercato fin dall'inizio di aggirare la norma, perseguendo l'elusione fiscale nei confronti dell'IRAP.
Emblematica fu la scelta della Persia, della quale abbiamo già parlato in relazione all'origine del nome di Venezia, che optò per seguire una politica fiscale di frazionamento alfabetico.
Un pool di esperti fiscali sfruttò infatti una poco conosciuta circolare interpretativa dell'Agenzia delle entrate e decretò così la divisione della Persia in due distinte regioni, in modo da diminuire l'aliquota relativa, a parità di quota imponibile. Come secondo passaggio, si scelse di operare a livello nominale sulle valutazioni alfabetiche, sebbene limitate alla lettera di importo inferiore: in un caso si scelse un passaggio alfabetico discendente, nell'altro un criterio di tipo ascendente. Da IRAP si passò perciò in un caso a IRAN, nell'altro a IRAQ.

Questa scelta agguerrita di politica fiscale provocò le ire dello scacchiere internazionale, e le due regioni divennero perciò scenario di guerre e guerriglie.
Nonostante i ripetuti sforzi militari, Iran e Iraq sono rimasti comunque esenti dall'Imposta Regionale sulle Attività Produttive, e con questi nomi sono conosciuti ancora oggi.

(nella foto: la sede di Teheran dell'Agenzia delle entrate)

martedì 27 novembre 2012

Pechino

Grazie alla cronaca conosciamo da tempo come l'incresciosa pratica, tipicamente cinese, di riprodurre copie più o meno fedeli di prodotti tipici italiani, senza le necessarie tutele e di conseguenza senza la qualità dell'originale. Non tutti forse conoscono però come questa pratica abbia dato il nome a niente di meno che la capitale cinese, Pechino.
Per capire la breve storia del nome della città proibita occorre sapere qualcosa di più sui pomodori, prodotti ampiamente ed in differenti qualità dagli agricoltori italiani, e che sono uno dei generi agroalimentari più facilmente esportabili, in quanto attecchiscono con abbondanza in qualsiasi terreno opportunamente irrigato.
Occorre anche sapere che uno dei centri d'eccellenza per il pomodoro è il piccolo paese siciliano di Pachino, dove vengono coltivati i caratteristici piccoli pomodori che spesso utilizziamo per le nostre insalate.
La storia del nome diventa ora facilmente intuibile. A metà del secolo scorso agronomi cinesi contrabbandarono dall'Italia una notevole quantità di sementi di questo ortaggio, che cominciarono a coltivare in maniera intensiva nei pressi della loro capitale. Il pomodoro portò con sé il suo nome. Solo alcuni anni dopo, grazie all'intervento di organi di tutela e della diplomazia italiana, si ottenne la modifica del nome per garantire la riconoscibilità del pomodorino italiano. Da Pachino divenne Pechino, e così la città viene chiamata ancora oggi.

(nella foto: per le strade di Pechino erano giorni di maggio tra noi si scherzava a raccogliere pomodori)

venerdì 16 novembre 2012

La Maddalena

In pochi sanno che la piccola isoletta de La Maddalena, a nord di Porto Cervo, fu scelta in età moderna come nascondiglio nientemeno che dagli eredi dei Cavalieri Templari.
Nel 1768 fu infatti fondata la chiesetta dedicata a S. Maria Maddalena che, come rivela Dan Brown, può in realtà essere identificata come la "coppa" (uterina, in senso figurato) all'interno della quale fu conservato il "sangue reale" (Sang Real), cioè la discedenza di Gesù Cristo. In pratica, il Santo Graal.
Quelle di Dan Brown ovviamente sono frottole diffuse ad arte per inquinare la verità, e cioè che il Santo Graal (coppa reale, e non in senso figurato come Dan Brown vorrebbe far credere) è stato davvero custodito in questa piccola isola per molti anni.
Giuseppe Garibaldi optò volontariamente per un "pensionamento" nella vicina Caprera, in quanto massone e segretamente incaricato dai vertici della fratellanza di custodire appunto il nascondiglio del Sacro Calice.
Il luogo non è stato scelto a caso: se si uniscono infatti con una linea immaginaria le città di Grosseto e Alghero (GR-AL), e si divide la linea in due segmenti legati tra loro dal rapporto aureo phi (rapporto di 1,61 circa) si ottiene proprio l'isola de La Maddalena.

Purtroppo il Graal non si trova più qui; nel corso dell'800 fu spostato su un'altra linea perché il suo nascondiglio era ormai stato messo a repentaglio. Si pensa che la nuova linea sia quella Grosseto-Alessandria (ancora GR-AL): se la dividiamo in due segmenti in rapporto aureo, troviamo al centro il piccolo abitato di San Guido, vicino Bolgheri (LI).
Il massone Giosuè Carducci, nella sua celebre poesia "Davanti San Guido", lascia anch'egli un indizio sulla nuova ubicazione della Sacra Coppa, scrivendo:

"E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
Sotto questi cipressi, ove non spero,
Ove non penso di posarmi più:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su."

Il Graal si trova dunque a Bolgheri? Non lo sappiamo, ma la nostra ricerca continua.
Nel frattempo, dopo secoli e a monito perenne per tutti i ricercatori, l'isola de La Maddalena continua ancora a chiamarsi così.

(in figura: il collegamento tra Grosseto e Alghero. E aspettate che qualcuno si accorga che, proprio in mezzo alla linea tra GRenoble, Francia e ALbacete, Spagna, si trova il paesino di Rennes-le-Château!)

lunedì 12 novembre 2012

Città del Capo

Agli inizi del XIX secolo il magnate olandese Issak Van Der Vander si recò in Sudafrica per ispezionare la sua fabbrica di cioccolatini al liquore. Per raggiungere lo stabilimento attraverso la vastissima tenuta di sua proprietà, Van Der Vander decise di utilizzare la sua nuova automobile, vero e proprio status symbol dell'aristocrazia di inizio secolo.
Purtroppo la strada impervia causò la foratura di una gomma, con grande sgomento di Thomas De Spar, il suo chauffeur. L'automobile era infatti una delle prime a montare pneumatici gonfiabili (come quelli moderni), mentre i primi modelli avevano avuto sempre ruote in gomma "piena", e il povero autista non aveva idea di come ripararli.
De Spar andò in cerca di aiuto per riparare la macchina del capo ma, sebbene gli abitanti della zona fossero boeri (e quindi di origine olandese) la comunicazione fu molto difficile, perché la lingua da essi parlata era molto diversa da quella della madrepatria. De Spaar espresse il suo problema con un mix tra linguaggio verbale, paraverbale e gestuale. Il semplice concetto che voleva esprimere, "la macchina del capo ha un buco nella gomma", fu inteso perciò dagli indigeni come un più oscuro "la brum del m ha un pss nella m".
I boeri intesero alla fine che la volontà di Van Der Vander fosse quella di dare il nome alla strada, chiamandola Macchina del Capo.
Inutili furono i tentativi di far comprendere l'equivoco: la tradizione dei boeri implica infatti che dando il nome a un elemento territoriale, si può vincere automaticamente la possibilità di dare il nome a un altro elemento, e così via a catena. Così fu nel caso di Van Der Vander, che fu costretto a battezzare la regione circostante come Penisola del Capo e, a catena, l'insediamento lì vicino come Città del Capo.
Ed è proprio con questo nome che la capitale del Sudafrica è conosciuta ancora oggi.

(nella foto: la fabbrica di Van Der Vander produce ancora oggi cioccolatini secondo la tradizione boera)

lunedì 15 ottobre 2012

Campobasso

Nell'anno 878 il re longobardo Adelchi decise di imporre il suo dominio sulla Contea dominata dalla famiglia De Molisio. Stabilì quindi di fondare la sua capitale nel territorio strategico tra i fiumi Biferno e Fortore.
Adelchi si era fermato perciò nella vicina Benevento mentre i suoi esploratori sondavano la zona alla ricerca del luogo più adatto per l'insediamento. Gli esploratori, giunti alle spalle della foresta Matese, trovarono un luogo che reputarono adatto e subito tentarono di contattare Adelchi per avere la sua approvazione. Purtroppo per ben diciotto volte la comunicazione fu interrotta perché i loro telefonini non prendevano.
Alla fine, spostatisi verso Isernia, gli esploratori riuscirono a trovare un posto con campo sufficiente perché la comunicazione con Adelchi non si interrompesse. La trascrizione della telefonata con la quale il re approvava l'insediamento è stata tramandata negli annali: "Si fondi dunque una città là dove il campo è basso".
E ancora oggi, nella città di Campobasso, prende a fatica Tim.

(nella foto: dall'antica torre in rovina della città vecchia ancora oggi si inviano segnali di fumo e piccioni viaggiatori)

giovedì 11 ottobre 2012

Terni

Nel 290 a.C., il console romano Manio Curio Dentato pose fine alle Guerre Sannitiche e fu acclamato dai romani come eroe. La cosa curiosa sono però le modalità con cui tale vittoria fu conseguita.
Avvenne infatti che Dentato, appena eletto console e avendo ricevuto l'indennità relativa alla carica da lui ricoperta, si trovò tra le mani una tale quantità di denaro che mai si sarebbe aspettato di poter possedere, neppure in una vita intera. Era infatti di origine plebea.
Stordito e forse intimorito dall'inaspettata ricchezza che gli era piovuta addosso, decise di spendere quei soldi come era solito fare tutte le settimane, giocando cioè la sua consueta schaedula (schedina).
Fu perciò così che Dentato e i suoi due amici Caio Lucio Segeptato e Tito Calpurnio Liscio giocarono un terno secco da 20.000 sesterzi sulla Rota Neapolis (Ruota di Napoli, città che era in territorio sannita).
Inutile dire che la Dea Fortuna fu dalla loro: vinsero, come ancora oggi accade per i terni secchi, 4.500 volte la posta, una cifra talmente imponente da mandare in bancarotta le casse dell'intera nazione sannita. Vista l'impossibilità pratica di riscuotere la vincita, i Sanniti furono costretti ad arrendersi a Roma in modo che fosse quest'ultima a dover ripagare il debito verso Dentato e i suoi amici.
La vincita in denaro fu poi tramutata in dodici lotti territoriali nei pressi di Narnia (l'attuale Narni), che il console Dentato, a proprio beneficio, rese subito terreno edificabile.
La nascita quindi di un insediamento sul Terni Lottum (lotto del terno) diede il nome sia al gioco, che da allora non si chiama più Rota Neapolis, ma semplicemente Lotto, sia alla città di Terni, che ancora oggi mantiene questo nome.

(nell'illustrazione: "Manio Curio Dentato mentre festeggia la sua vittoria al Lotto", affresco del Duomo di Terni, dedicato al Padreterno, protettore della città e del Lotto)

venerdì 5 ottobre 2012

Paraguay

E' facile ignorare e dimenticare le guerre lontane, che pure essendo lontane dalla nostra terra non per questo sono meno sanguinose. Non tutti sanno così che anche il sudamerica fu più volte segnato da guerre tra nazioni. Da una di queste crisi internazionali nasce la storia del Paraguay.
Nel 1842 sorse una disputa territoriale tra Brasile e Cile, riguardo alla sovranità su alcune miniere di alluminio nei pressi di Fuerte Olimpo, al tempo piuttosto preziose per il rapido diffondersi dei primi alimenti conservati "in scatola". La disputa sarebbe probabilmente sfociata in una guerra, se non fosse stato per la felice soluzione escogitata da Manuel Blanco Encalada, diplomatico cileno fresco di studi condotti in Europa.
La proposta fu la creazione di un cosiddetto "stato cuscinetto", che comprendesse le zone delle miniere e i territori limitrofi, governato da un parlamento composto dalla popolazione locale, e sotto un protettorato rappresentato da un consiglio formato in egual misura da rappresentanti dei governi brasiliano e cileno. Questo avrebbe garantito accesso alle miniere ad entrambi i paesi, con modalità condivise. Il nome fu la diretta conseguenza della sua funzione. Essendo nato per proteggere le popolazioni da un conflitto, e dai problemi che ne sarebbero derivati, fu chiamato "Para guai" e quindi "Paraguay".
Fu così che il 17 maggio del 1843 fu suggellata la nascita del nuovo stato. Non più di venti anni più tardi, nel 1863, esauritesi le miniere di alluminio che avevano portato alla sua creazione, fu un passo ovvio chiedere ed ottenere l'indipendenza per il Paraguay, che continua però ad essere chiamato così ancora oggi.

(nella foto: il Paraguay ha anche una tifoseria molto accanita e organizzata. In realtà del Paraguay interessa poco a tutti, perciò abbiamo scelto di attirare l'attenzione su questo pezzo con un bieco espediente di marketing: calcio & tette)

lunedì 1 ottobre 2012

Domodossola

E' piuttosto nota la vicenda dell'Uomo del Similaun, il nome dato al corpo del cacciatore preistorico ritrovato pochi anni fa in uno stato di conservazione inaspettatamente buono, al confine tra Italia e Austria. Sono invece meno noti - grazie a una volontà generale di far dimenticare gli accadimenti - i fatti legati a un ritrovamento analogo avvenuto nelle montagne piemontesi, diversi decenni prima.
Nel luglio del 1908 fece scalpore infatti la scoperta dell'antropologo Giampietro Zambelloni, che affermò di avere rinvenuto in uno stretto crepaccio lo scheletro di quello che, successivamente, sembrò essere addirittura l'anello mancante nell'evoluzione dei primati verso l'homo sapiens. La notizia ebbe immediato risalto nella comunità scientifica internazionale, cosa che fece della valle una meta di pellegrinaggio. I pastori e gli agricoltori della zona, esasperati da quell'attenzione e dalle continue richieste di informazioni, posero alcune segnalazioni minimali per indicare il crepaccio. "Uomo d'osso: là". I numerosi cartelli diedero il nome anche al nucleo di case vicine, che venne appunto chiamato "Uomodossolà".
Se il ritrovamento destò clamore, questo non fu nulla se paragonato alle rivelazioni di un contadino locale, che circa un decennio dopo confessò ai giornalisti di una testata scientifica (probabilmente dietro un generoso contributo, poiché il contadino non fu più visto in valle negli anni successivi) di avere collaborato personalmente con il professor Zambelloni, per nascondere in quel crepaccio alcuni resti trafugati dal cimitero, mescolati ad altre ossa di tasso o daino. Si era insomma trattato di una truffa colossale, escogitata dallo stesso Zambelloni, che fu immediatamente radiato dalla Società Antropologica Nazionale.
Ma il danno toponomastico era stato fatto, e il comune aveva ormai preso il nome di "Uomodossolà". L'occasione per riparare arrivò qualche anno dopo, quando - a seguito della riforma della scuola del 1923, e soprattutto dell'avvento del fascismo - la scuola prese un indirizzo autarchico e nazionalista. Fino a quel momento gli abbecedari in dotazione contenevano infatti parole e nomi di luoghi provenienti da paesi stranieri (B come Bombay, C come Chicago... gli alunni apprendevano quindi contemporaneamente nozioni di italiano e di geografia), la riforma portò a sostituire appunto questi nomi di località con altri presi dal territorio italiano. Bombay divenne quindi Bari, Chicago fu sostituita da Cagliari...  Ma la D di Detroit fu fonte di problemi non piccoli, poiché nessuna città italiana cominciava effettivamente con D.
Le possibilità prese in esame dal Gran Consiglio del Fascismo furono due. La prima prevedeva di invadere e annettere la città francese di Digione: ma questo avrebbe significato attaccare anche la Svizzera neutrale, e questo fu ritenuto improponibile. Così fu adottata la seconda soluzione: fu promulgato un bando aperto a tutti i comuni d'Italia, che proponeva di cambiare la lettera iniziale del nome del comune con l'anelata D. Il Comune di Uomodossolà non aspettava altro, e presentò immediatamente la sua domanda. L'unico altro concorrente in gara fu niente di meno che il Comune di Roma (che per statuto, avrebbe dovuto partecipare a tutti i bandi promulgati). Ma poiché questo avrebbe significato cambiare il nome da Roma in "Doma", e non sembrò che la capitale del futuro impero fosse doma, fu accettata la domanda di Uomodossolà, che ebbe così il nome mutato in Domodossola. La caduta dell'accento finale segnò il completamento della purificazione toponomastica.
Ed è per questo che si dice ancora oggi "D come Domodossola", e che la città è conosciuta con questo nome.

(nelle due foto: il centro di Domodossola, che come sappiamo dai cruciverba è "dos")

lunedì 24 settembre 2012

Massa


Una delle mode toponomastiche più diffuse nei secoli scorsi era quella di battezzare le località con il cognome di illustri personaggi ivi nati o cresciuti. Oltre al tributo di gloria che tale battesimo comportava, gli amministratori contavano di dare nuovo lustro a paesi altrimenti poco conosciuti, rendendone il nome immediatamente più familiare al popolino ignorante che da allora non avrebbe più potuto fare a meno di riconoscere il luogo per i suoi illustri natali.
Se oggi riconosciamo come familiari i nomi di borghi come Castelvecchio Pascoli, Castagneto Carducci, Terranuova Bracciolini, Torre del Lago Puccini è proprio in virtù del nuovo battesimo che subirono allora.
Questa moda, diffusa soprattutto in Toscana, attecchì raramente in città più grandi, che di illustri natali, e di motivi per essere ricordate, ne avevano fin troppi.
Eccezion fatta per una città al confine tra Toscana e Liguria, troppo ligure per essere toscana e troppo toscana per essere ligure. Una città senza eventi e personaggi significativi, e conosciuta soprattutto per le vicine cave di marmo, che però davano lustro soprattutto alla vicina Carrara.
In un giorno d'estate di inizio secolo, infatti, complice un furioso temporale che si abbatté su Forte dei Marmi, molti bagnanti si rifugiarono per le vie della città in cerca di bellezze artistiche che, ahimè, furono comunque loro negate.
Tra questi c'era anche il noto pilota di Formula Uno, Felipe Massa, che subito fu riconosciuto dai fan e la cui presenza fu osannata e sbandierata da tutta la popolazione. Era senza dubbio l'evento più prestigioso che fosse mai avvenuto in tutta la storia della poco ridente cittadina; per questa ragione il sindaco emise in tutta fretta un decreto che ribattezzava seduta stante la città con il cognome del suo più illustre visitatore: Massa.
Ed è così che la città viene chiamata ancora oggi.

(nella foto: il Duomo di Massa Marittima (GR), che in effetti non c'entra nulla, ma del resto a Massa non c'è davvero niente da vedere)

giovedì 20 settembre 2012

Toronto

I nomi di persona nati da refusi, ignoranza o da difficoltà di apprendimento degli addetti dell'anagrafe sono numerosi (prendiamo ad esempio il caso di Condoleeza Rice, che nell'intento del padre doveva chiamarsi - sarebbe stato meglio o peggio? - "Con Dolcezza"). I nomi di città dovuti a casi analoghi sono meno frequenti: ma ogni tanto capita, come è capitato a Toronto.
Non tutti sono a conoscenza che la città canadese è stata fondata a metà del XVIII secolo da un immigrato italiano, che decise di ricreare - come sovente capita ai coloni - la propria città natale nel nuovo mondo. Partendo dal nome.
Ora, essendo l'uomo a capo di questa impresa coloniale originario di Taranto, la prima cosa che fece fu di recarsi dal tipografo - imbarcatosi anch'esso per il nuovo mondo - per comporre il cartello all'ingresso della nuova cittadina: "New Taranto". Ma il tipografo si accorse che il carattere mobile della lettera A era andato perduto nel viaggio, così pensò di ovviare utilizzando al suo posto la O. Il risultato fu il cartello che fu appeso - non senza una grande festa - la mattina del 16 maggio 1657: "New Toronto". Il tipografo sapeva che non avrebbe avuto lamentele, poiché tutti gli altri membri della colonia erano, di fatto, analfabeti.
Il nome mutò nuovamente, assumendo la forma definitiva, quando una generazione successiva di coloni, questa parzialmente scolarizzata, iniziò a farsi domande su dove si trovasse in italia la "vecchia Toronto", ossia quella originale. Non ritrovando questa località da nessuna parte, si preferì lasciar cadere nel dimenticatoio il prefisso "New", e la città fu consegnata alla storia come semplicemente "Toronto". E così è conosciuta ancora oggi.

(nella foto: lo stabilimento Ilva di Toronto)

giovedì 13 settembre 2012

Benin, Mali e Costa d'Avorio

La colonia dell'Africa Occidentale Francese, fondata nel 1865, aveva tra i suoi scopi, oltre a quelli commerciali ed economici, anche quelli di mappatura delle zone inesplorate del Continente Nero. Si trattava di territori impervi, ancora abitati e dominati da monarchie tribali, e che spesso presentavano natura e costumi ostili per il colonizzatore europeo.
Verso gli anni 90 del XIX secolo la Francia si gettò senza remore nella corsa colonialistica, con l'obiettivo di surclassare le altre nazioni europee; la sua politica aggressiva provocò così l'annessione di molteplici territori africani, ancorché ostili o parzialmente inesplorati. L'opinione pubblica non vide molto di buon occhio questa politica di annessione selvaggia, perché in tal modo il turismo nelle nazioni assimilate era esposto a numerosi rischi non calcolati.
E' proprio in questo periodo che si diffonde la tradizionale iconografia dell'esploratore cucinato in pentola dai selvaggi, nata come propaganda anti-imperialista sui quotidiani avversi al governo. Il suo significato è chiaro: le nuove nazioni non sono sicure, i cittadini francesi non trovano nelle popolazioni coloniali dei fratelli, ma un pericolo mortale.
Il governo francese Freycinet, appena insediatosi nel 1890 dopo la caduta del governo precedente a causa dello Scandalo di Panama (il primo ministro uscente Carnot si era fatto fotografare in Corsica con un cappello bianco dal gusto così orribile da risultare offensivo per diverse minoranze), incaricò l'Académie Française di stilare una classifica della vivibilità delle colonie africane. Gli incaricati visitarono tali zone e nell'arco di pochi anni furono in grado di esprimere un giudizio di merito su tutte le nazioni in oggetto (giudizio che andava da "male" fino a "ottimo"). Tutti questi giudizi furono riportati su una gigantesca mappa dell'Africa (la cosiddetta "Mappa dei Viaggi") che ancora oggi è esposta nell'aula magna dell'Académie.
In particolare, in corrispondenza dei territori del Dahomey, integrati nel 1892 e caratterizzati da territorio semi-desertico e accesso al mare limitato, fu espresso il giudizio "Benino".
Sorte peggiore toccò ai territori dell'Impero Songhai, che furono integrati dopo lunghe polemiche nel 1895 in quanto caratterizzati da lande desertiche, poche risorse e nessun accesso al mare. Il giudizio per questi territori fu tranciante: "Male".
La nazione che invece ottenne il miglior riconoscimento fu quella dei territori Mandé, che già da tempo erano stati assimiliati dall'Africa Occidentale Francese: la ricchezza di risorse e la buona disposizione dei nativi fruttarono ai territori il giudizio di "Ottimo".
La Mappa dei Viaggi ottenne un successo senza precedenti, tanto che l'uso comune iniziò a chiamare alcuni degli stati direttamente con la parola che ne indicava il giudizio (i nomi africani sono infatti difficilmente memorizzabili per la popolazione francese, notoriamente refrattaria alle contaminazioni linguistiche).
Nacquero così il Benin, il Mali e l'Ottimia. I primi due hanno mantenuto questo nome, mentre l'Ottimia fu ribattezzata Costa d'Avorio nel 1924 a seguito del naufragio sulle sue coste dell'omonima nave da crociera. Ed è con questo nome che è conosciuta ancora oggi.

(nel riquadro: illustrazione tratta da "La Domenica del Corriere" del 6 aprile 1924, con il naufragio della Costa d'Avorio)

giovedì 6 settembre 2012

Lima

L'affollamento delle prigioni non è un problema recente, ed ogni epoca ha proposto di fatto le sue soluzioni. Dal XVI al XVIII secolo una pratica non inconsueta era quella di proporre ai galeotti un'allettante alternativa alla galera, ossia una vita da uomini liberi in territori sperduti oltre oceano. Era una soluzione vantaggiosa per tutti: le celle si svuotavano e se malauguratamente le navi con le stive piene di delinquenti andavano a fondo, che ci vuoi fare, era stata una libera scelta. Così furono fondati ad esempio molti villaggi in Australia.
Sempre dalle carceri nasce la storia della fondazione, e del nome, di Lima, capitale del Perù. Correva l'anno 1684 quando dalle galere di Salamanca fuggì Marcelo Gonzalo, poche notti prima della data fissata per la sua fucilazione (sarebbe stata di fatto una delle prime condanne a morte per fucilazione). Lo strategemma utilizzato non era ancora entrato nell'immaginario popolare: Marcelo evase segando le sbarre della sua cella utilizzando una piccola lima da fabbro, e tanta pazienza. Riuscì ad imbarcarsi su un mercantile diretto verso l'Argentina, ma dopo alcune settimane di navigazione fu riconosciuto da un ufficiale spagnolo salito a bordo nel frattempo, e di nuovo imprigionato nella stiva. Ma sempre assieme alla sua lima, con cui riuscì nuovamente a fuggire. Si imbarcò nuovamente, ma il nuovo galeone fece naufragio al largo della costa occidentale latinoamericana.
Qualche santo stava evidentemente proteggendo Marcelo Gonzalo, che riuscì ancora una volta a salvarsi fortunosamente, approdando sulla costa desertica dell'attuale Perù. Nella tasca aveva ancora la sua fedele lima, che sotterrò nella spiaggia, e che volle onorare dando il nome alla colonia che fondò, appunto Lima. E così la capitale peruviana è chiamata ancora oggi.

(nella foto: la cattedrale di Lima. Si noti la ferrovia di fronte alla cattedrale: è un trenino Lima in scala 1:1)

lunedì 3 settembre 2012

Romania

Il rimescolamento di culture e fedi che si creò a seguto del fenomeno conosciuto come monachesimo lasciò segni indelebili anche sulla geografia e sulla toponomastica, e la Romania è uno di questi segni.
In molti avranno studiato come Cirillo e Metodio evangelizzarono l'est europa e la Russia, creando per l'occasione anche un nuovo alfabeto (appunto, il cirillico) con lettere più adatte a riportare fedelmente in forma scritta il parlato di quelle popolazione slave ed ugrofinniche.
Possiamo solo ipotizzare, probabilmente però non discostandoci molto dalla realtà dei fatti, che questa trovata si originò nella mente di San Cirillo in seguito ad una piccola disavventura linguistica occorsa loro nei pressi di Bucarest, e più precisamente sulle coste del Mar Nero, il cui paesaggio ricordò a Metodio la sua terra natale: Cesenatico e le spiagge della Romagna.
Fu per questo che - una volta proceduto all'evangelizzazione di alcune comunità locali - volle lasciare traccia del suo passaggio come un novello (ma ben più umile) Alessandro Magno, chiamando quella terra come la sua terra natale. Appunto, Romagna. Tuttavia la "gn" era fonema difficile da masticare e pronunciare per gli abitanti del luogo, e fu per questo che si accontentò, prima di lasciare quei nuovi fedeli, diretto ad est, di sentirla da loro chiamare "Romania". E così quella terra è chiamata ancor oggi.

(nella foto: i "Bagni Danubio" di Bucarest, gemellati con il "Delfino Blu" di Cesenatico)

giovedì 30 agosto 2012

Riga

A cavallo tra il XII e il XIII secolo il vescovo tedesco Albrecht von Buxthoeven si mosse da Brema per evangelizzare e germanizzare la regione della Livonia, all'epoca abitata da popolazioni pagane di origine baltica.
Il vescovo si trovò a fronteggiare una diatriba dinastica tra le popolazioni Livoniche: il 55° re era morto senza eredi diretti, e due fazioni si contendevano il predominio sul territorio dell'Ansa Baltica. Il vescovo Albrecht propose una spartizione territoriale: essendo in ballo la 56° posizione dinastica, suggerì di tracciare un confine in corrispondenza di una latitudine simbolica: 56°56'56" N, e di usarlo per la spartizione territoriale.
Il 18 agosto 1201 ebbe quindi luogo una solenne cerimonia, durante la quale venne scavato un fossato proprio in corrispondenza del suddetto parallelo, chiamato Vallo di Albrecht.
Intorno alla riga del Vallo nacquero inizialmente poche casupole, destinate a ospitare le guardie di confine, ma pian piano intorno a esse sorse una vera e propria città, che prese quasi naturalmente il nome di Riga.
Grazie all'ingresso nella lega anseatica la città di Riga divenne un fiorente porto commerciale ed estese il suo dominio su tutta la regione della Lettonia. Forte fu la sua influenza sulla moda e sul costume nel Rinascimento: qui nacque per esempio la moda, esistente ancora oggi, di pettinarsi con la riga.
Nel XIX secolo Riga divenne famosa per i suoi istituti correttivi minorili: qui venivano mandati i giovani scapestrati di buona famiglia. Ancora oggi si utilizza l'espressione "mettere in Riga" per indicare lo sforzo di ricondurre alla buona creanza la gioventù sconsiderata.

Anche durante l'occupazione sovietica Riga ha mantenuto il suo nome e la sua personalità; è infatti così che la città si chiama ancora oggi.

(nella foto: il Museo della Riga, fondato sopra al Vallo di Albrecht, che però ha la facciata a quadretti)

lunedì 27 agosto 2012

Carrara

La storia di oggi è molto semplice, e la raccontiamo ad esempio di tutte quelle città o paesi che prendono il nome da un qualche tipo di risorsa (frutto, minerale, animale) che abbonda particolarmente nella zona. Ne sono esempio le varie località chiamate Noceto, Castagneto, Lupazzano, o Crema.
Una città più famosa che ha seguito lo stesso principio toponomastico è una famosa cittadina della toscana, che ha preso il nome dalle numerose cave di marmo presenti nella zona. Essendo questa qualità di marmo conosciuta come "marmo di Carrara", è sembrato inevitabile dare questo nome al centro urbano nelle vicinanze, ossia Carrara. E con questo nome la città è conosciuta ancora oggi.

(nella foto: la gelateria "White Ice" di Carrara, durante la realizzazione del ghiacciolo più grande del mondo)

giovedì 23 agosto 2012

Catania

Nel medioevo, quando le lame non servivano solo per tagliare ortaggi, ma anche teste, e in definitiva per combattere le guerre, i buoni fabbricanti di spade erano degli artigiani assai ricercati e remunerati. Spesso attorno ai fabbri più rinomati si raccoglievano gruppi di apprendisti o vere e proprie scuole. Una di queste scuole era quella di Toledo, che aveva rifornito del suo acciaio lavorato legionari e soldati di ventura fin dall'antichità.
Un'altra - forse meno conosciuta - nacque sulle coste orientali della Sicilia durante il XIII secolo, quando si scoprirono le particolari caratteristiche (una duttilità e una malleabilità fuori dal comune) del minerale di ferro locale, entrato in contatto nel corso delle ere geologiche con la lava del vicino Etna. Questo ferro permetteva la fabbricazione di lame estremamente affilate e resistenti, ma purtroppo il processo per la sua estrazione era quantomai difficoltoso e costoso. Per questo le spade e le daghe fabbricate in Sicilia furono generalmente ignorate nel corso del medioevo (con alcune famose eccezioni, come la spada corta con cui duellava Giovanni l'Acuto) dagli eserciti europei, che continuarono a preferire la qualità a buon mercato dell'acciaio spagnolo.
Una nuova fortuna fu però conosciuta da generazioni successive di questi artigiani, all'inizio del XVII secolo. Alcune di queste spade furono portate da un mercante portoghese (che in molti identificano con Nuno Soledade, conosciuto in seguito per la scoperta dell'Isola d'Elba) in uno dei suoi viaggi verso il Giappone, come merce di scambio con le sete e le spezie prodotte laggiù. Queste spade attirarono da subito l'attenzione del maestro d'arme dell'Imperatore Go-Yozei, che decise di utilizzarle per i samurai della guardia d'onore. Da lì l'utilizzo di queste spade - commissionate a richiamare la foggia della katana giapponese - si diffuse anche tra il resto dell'esercito.
Il piccolo centro siderurgico siciliano conobbe in quegli anni una fama mai incontrata prima, anche se solamente dall'altra parte del globo, dove questa città veniva chiamata appunto "Katania", cioè "Città delle katane". Quando gli artigiani vennero a conoscenza di questo nomignolo ne furono così grati che decisero di rinominare proprio così il loro paese: "Catania".
Ed è così che questa città viene conosciuta e chiamata ancora oggi.

(nella foto: lo scorcio di Catania con alle spalle l'Etna, utilizzato da Katsushika Hokusai come modello per la progettazione del Monte Fuji)

lunedì 20 agosto 2012

Venezia


L'origine dell'attuale nome della Serenissima si confonde con la storia del suo più illustre cittadino di tutti i tempi: Marco Polo. Questo indomito esploratore del XIII secolo raggiunse, oltre al Polo Nord da cui prende il nome, anche l'estremo oriente. Nei suoi viaggi attraversò tra l'altro la cosiddetta mezzaluna fertile, quella striscia di terra compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate.
Fu proprio attraverso i commerci e lo scambio culturale in queste zone che venne in luce la differenza più profonda tra le genti d'Europa e quelle del Medio Oriente: non tanto le differenze linguistiche, religiose o sociali, quanto piuttosto un apparentemente marginale dettaglio architettonico. Dettaglio che fu però importante, come vedremo, all'interno di eventi drammatici.
Mentre infatti le genti della Serenissima erano solite impreziosire le loro finestre con tende veneziane, quelle d'oriente preferivano le più solide persiane. Questa differenza, ben evidenziata da Rustichello da Pisa nella sua redazione del "Milione", fu quasi ignorata per diversi secoli, essendo ritenuta forse un'invenzione leggendaria, pari a molte altre presenti nella (presunta) biografia di Marco Polo.
Fu con la battaglia di Lepanto del 1571, però, che questa profonda divergenza culturale riemerse con prepotenza: la coalizione federata sotto le insegne pontificie, alla quale apparteneva pure la Serenissima, iniziò a chiamare i nemici, con intendi dispregiativi e propagandistici, "persiani", a causa degli ornamenti delle loro finestre.
Analogamente, la fazione ottomana prese a definire gli abitanti della città sulla laguna come "veneziani", per il motivo opposto.
Questi nomignoli dispregiativi, tuttavia, furono accolti inaspettatamente con favore dai destinatari, che negli anni finirono per adottarli come propri e a chiamare se stessi in questo modo.
Per tale motivo quella regione del Medio Oriente prese il nome di Persia (anche se per poco, perché successivamente la regione si divise in Iran e Iraq... ma di questa storia vi racconteremo un'altra volta). La città lagunare invece divenne Venezia, e con questo nome è conosciuta ancora oggi.

(nella foto: un canale di Venezia... con persiane alle finestre. Evidentemente oggi le antiche divergenze storiche sono cadute, forse in nome della globalizzazione)

giovedì 16 agosto 2012

Vigevano

Quanto la Lombardia ed il Veneto non c'erano, ma c'era solo il Lombardo Veneto, ed era sotto la dominazione austriaca, la popolazione era schiacciata dalle tasse e balzelli imposti su ogni tipo di mercanzia: dal tabacco al salgemma, dalla carta alle mele cotogne. Questa situazione insostenibile per la borghesia lombarda fu certamente una delle cause alla base delle guerre d'indipendenza e, in ultima istanza, dell'unificazione italiana.
Questi eventi furono però preannunciati da alcuni moti isolati in centri urbani, e uno di questi dà il nome alla cittadina di oggi, ossia Vigevano. Nella piazza del paese, accanto alla porta di ingresso della gendarmeria, erano appesi i manifesti (le 'grida' di manzoniana memoria) che indicavano ogni mese le nuove tasse e i nuovi divieti. In grossi caratteri neri era stampata la scritta "Vige il divieto di entrare tra le mura cittadine con più di tot grammi di tabacco"; "Vige una tassa doganale di 25 centesimi su ogni chilogrammo di frutti di bosco"; e così via. Questi manifesti, che ormai si affollavano sovrapponendosi, rendendone difficile la lettura e l'applic.azione anche da parte dei cittadini più obbedienti, erano diventati per molti il segno della tracotanza austroungarica.
Così, quando una rivolta scoppiò in città, costringendo il maresciallo e la piccola guarnigione a fuggire nella vicina Milano, la prima cosa a sparire fu questa catasta di manifesti, sostituita con un unico grosso foglio su cui campeggiava la scritta "Vigevano" e sotto, in un ordinato elenco puntato, la lista dei divieti ora abolita. Il manifesto rimase appeso, per il suo significato simbolico, per diversi anni, e quando il prefetto si trovò a dare un nome alla cittadina (fino ad allora un centro di contadini ed operai anonimo), non trovò di meglio che chiamarla appunto con l'incipit del cartello, ossia "Vigevano". Ed è così che la città è conosciuta ancora oggi.

(nella foto: la ZTL del centro storico di Vigevano. La foto è datata: le ordinanze che assegnavano i permessi ai residenti sono state revocate a gennaio 2012)

lunedì 13 agosto 2012

Bristol

Il Castello di Vajdahunyad, o Vajdahunyad vár, è un castello situato nel Városliget, il parco cittadino di Budapest. Fu costruito in cartone nel 1896 in occasione della mostra millenaria, ma la sua architettura, ispirata a un omonimo castello transilvano, piacque talmente tanto che a furor di popolo il castello fu smantellato e ricostruito in muratura.
In pochi sanno però che questo castello imita la genesi di un'intera città: durante la mostra millenaria immediatamente precedente, infatti, intorno all'anno 1000, fu costruito nei pressi di Cardiff, in Inghilterra, il modello in cartoncino di un'intera città.
Al termine dell'esposizione la città di cartone doveva essere smantellata, ma questa operazione non poté avvenire, perché la città era stata occupata abusivamente da un gruppo di sfollati senza fissa dimora a seguito dell'invasione normanna. La città prese dunque il nome del tipo di cartoncino con cui era stata inizialmente costruita, Bristol, e questo è il nome che conserva ancora oggi.

(nella foto: la cattedrale di Bristol, unico edificio ancora oggi costruito in cartoncino)

venerdì 10 agosto 2012

Finlandia

L'origine del nome Finlandia arriva diritto - come capita con molte nazioni e città del nord europa - dall'epoca delle invasioni vichinghe. Anche se agli occhi dei cristiani i vichinghi potevano attaccare ovunque e in qualsiasi momento, nella realtà un rigido sistema patriarcale stabiliva, per ogni clan, i porti e i monasteri da saccheggiare.
Naturalmente c'erano territori più o meno ambiti. Un esempio tra i primi è la Groenlandia, la terra verde. Tra i secondi l'Islanda, Iceland, terra del ghiaccio. Bene: si narra che quando Olaf di Smudsen assegnò ai figli le coste da colpire e saccheggiare con i loro agili drakkar, provò ad assegnare quel promontorio inospitale tra le odierne Russia e Svezia al primogenito. "Fin là?" fu la risposta. Così il figlio maggiore ottenne di occuparsi dell'Irlanda. Provando con il secondogenito, la risposta fu il medesimo e laconico "Fin là?". E il figlio diresse le navi verso la Bretagna. Neanche a dirlo, lo stesso "Fin là?" fu il commento del terzo ed ultimo figlio, che alzò le vele verso la Danimarca.
Fu così che Olaf, tra lo scherno generale, continuando a borbottare tra sé e sé "Fin là, fin là", dovette occuparsi personalmente di quella terra, che proprio per i commenti dei figli fu ribattezzata ironicamente dai cronisti del nord "Finlandia".
Ed è così che questa terra viene chiamata ancora oggi.

(nella foto: spiagge della Danimarca. La Finlandia era troppo lontana)

giovedì 9 agosto 2012

Bari

Bari prende il suo nome dalla fumosa e a tratti ignominosa vicenda con cui furono ottenute e portate in città le spoglie del patrono San Nicola.
Brevemente: fino a metà dell'XI secolo le reliquie del santo erano custodite nella cittadina turca di Myra. Pochi giorni prima che questa cadesse in mano musulmana, scoppio un'accesa disputa tra i mercanti presenti nella città, appunto veneziani e baresi (si ignora in realtà come si chiamasse in precedenza il porto pugliese), per chi dovesse portare in salvo i resti del predicatore.
Poiché non sussistevano argomenti teologici inattacabili, in favore degli uni o degli altri, si decise di stabilire la sorte dei resti con una partita a dadi. L'illustre precedente rappresentato dalle vesti del Cristo sembrò giustificare questa decisione agli occhi dei commercianti. La partita fu vinta dai mercanti baresi, che con grande fretta e senza aspettare la notte imbarcarono le spoglie sulle proprie galere e tornarono nella città natale.
L'alba successiva un attento orafo veneziano scopri l'inganno: i dadi con cui si era giocato erano truccati. La vendetta dei veneziani fu sottile ed indelebile: detenendo all'epoca una sorta di monopolio sui portolani e sulle carte nautiche, procedettero a mettere in guardia tutti i navigatori, indicando la città su tutte le mappe come "Bari".
Ed è così che la città viene chiamata ancora oggi.

(nella foto: una folla si raduna di fronte alla chiesa di San Nicola per la festa delle Carte Segnate)